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La I Guerra mondiale a Lozzo

Quando scoppiò la I Guerra Mondiale, il 24 maggio 1915, Lozzo si trovò in una posizione molto scomoda, era all’interno del territorio considerato di “guerra”, proprio in prima linea.
Gli abitanti erano sottoposti a dei rigidi controlli di polizia e non potevano più muoversi a loro piacimento ma dovevano avere delle autorizzazioni scritte, “lasciapassare”, per potersi spostare all’interno dell’area delle operazioni.
Anche le loro attività erano fortemente limitate e sottoposte a dei controlli da parte delle autorità militari. L’esercito, infatti, era interessato sia al legname sia al foraggio sia agli animali presenti nel territorio comunale.
Andando a rovistare nell’archivio comunale si trovano molti documenti che si riferiscono a questo periodo e che ci danno molte informazioni su ciò che cosa succedeva.

manifesto aree operazioni

Vita quotidiana all’inizio del 1900
A Lozzo, nei primi anni del 1900, vigeva un’economia basata interamente sull’allevamento e l’agricoltura. In paese si contavano circa 600 bovini, 700 tra capre e pecore che davano da vivere all’intera popolazione. Questa attività era sostenuta da quelle relative alla fienagione e al pascolo, scandite secondo ritmi stagionali secolari.
“I terreni che si trovavano proprio vicino all’abitato non venivano utilizzati per lo sfalcio, ma erano coltivati a campi: patate e granoturco, ma anche orzo, canapa, fagioli. I prati da fieno erano più distanti e coincidevano con le zone dove il terreno era più ripido. Venivano falciati tutti i pendii erti, lungo la strada che va a “Monte” e il fieno veniva stivato nei “tabià” per essere condotto a valle solo alla fine della stagione, con la neve, sulla “luoida”.” (“Oronimi bellunesi”, introduzione di A. Cason, Fondazione G. Angelini Editore)
Durante l’estate gli animali venivano condotti a Pian dei Buoi, il pascolo iniziava il ventuno giugno (prima di San Pietro) e terminava alla fine dell’estate, alla vigilia della Madonna del Rosario, quando il bestiame veniva riportato nelle stalle.
Un’altra risorsa economica fondamentale era costituita dallo sfruttamento dei boschi dovuta sia alla vendita del legname “tondo”, sia ai prodotti lavorati dalle due segherie del paese: la Sega dei Pellegrini, che si trovava sulla sponda sinistra del Rio Rin e la Sega del Comun, poco più in basso, sotto la chiesa vecchia. A volte venivano utilizzate le segherie di Campopiano, Cima Gogna o Perarolo.
Le attività agricole, come già detto, vennero condizionate dalla presenza militare e dalla guerra in Cadore. Si assistette a ripercussioni negative sia sul fronte del pascolo delle bestie, sia sul patrimonio boschivo del Comune che venne depauperato da tagli eccessivi dettati dalle necessità di costruzione di cantieri e baracche militari.
A questo si devono aggiungere le requisizioni di legname, bestiame e derrate alimentari operate dall’Amministrazione Militare italiana che, senza raggiungere gli eccessi di quelle austriache nell’anno dell’invasione, indebolirono la fragile economia locale.

donne e bambini lozzo estate 1916infermeria 2

Il paese
A quell’epoca il paese era composto dalle case del rifabbrico, costruite in pietra per evitare gli incendi che avevano devastato il paese nel 1612 e nel secolo XIX, durante il quale, nel breve periodo di 37 anni, ne avvennero ben tre, uno nel 1830, il secondo nel 1847 e il terzo, il più terribile, nel 1867, che si erano propagati soprattutto a causa degli edifici in legno.
Le strade erano sterrate, raramente percorse da carri e, ancor più di rado, da carrozze. Non era ancora stata costruita la diga di Sottocastello, che fu costruita agli inizi degli anni ’50, perciò il Piave scorreva in fondo al paese in un profondo alveo scavato nella valle. I prati per la fienagione circondavano l’abitato ed arrivavano molto in alto sulle pendici della montagna, nei piani più esposti al sole venivano coltivati i campi che circondavano completamente l’abitato, o almeno i due terzi, visto che la parte verso ovest era delimitata dal Rio Rin e dalle pendici del monte Revis, incombente sulle case. Il paese, infatti, era ubicato nella parte più “disagevole” perché i terreni esposti al sole e pianeggianti erano utilizzati per le coltivazioni.
I soldati che transitavano per la strada che portava al fronte, molto spesso, facevano tappa in paese ed occupavano tutti gli alloggi disponibili. Nell’archivio comunale si trovano i registri che testimoniano il passaggio di molti reparti, registri dove venivano segnati i nomi e i numeri dei reparti con relative note dei comandanti che venivano consegnate in Comune perché l’Amministrazione richiedesse il pagamento dell’affitto all’autorità militare competente. Anche i soldati che smontavano dal servizio al Forte di Col Vidal venivano alloggiati in vari fienili del paese e perfino la chiesa parrocchiale fu usata dai militari come magazzino, le funzioni religiose furono spostate nella chiesetta di San Rocco a Prou.

Le ripercussioni della guerra sulla popolazione
La partenza per il fronte di tanti uomini provocò grandi cambiamenti all’interno delle famiglie. Gli adolescenti, gli anziani, le donne e, spesso, anche i bambini, dovettero lavorare al posto di chi non c’era. La guerra cambiò il ruolo delle donne e dei figli che diventarono, necessariamente, “capifamiglia”.
Le donne videro, a volte, ampliate le loro possibilità di guadagno: negli anni di guerra, dal 1915 al 1917, infatti, ottennero incarichi remunerati dagli ufficiali e dai soldati italiani come lavare i panni e tenere puliti i locali dove essi soggiornavano. Furono reclutate anche quali portatrici di materiali e come addette allo sgombero della neve dalle strade in seguito alle copiose nevicate dei primi due anni di guerra.
La presenza sul territorio di molti medici militari fu, in alcuni casi, determinante per sconfiggere la tubercolosi, malattia responsabile di un’altissima mortalità infantile. A Lozzo, nel settembre del 1915, fu requisito l’hotel Stella per adibirlo ad ospedale militare che dispensava cure e medicine anche alla popolazione civile.

Albergo Lozzorequisizioni cartellainfermeria

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1917, l’anno dell’invasione austro-ungarica
Le condizioni di vita per i residenti di Lozzo e dei paesi del Cadore peggiorarono notevolmente a causa dell’invasione delle truppe austriache all’indomani di Caporetto.
La prima pattuglia austriaca, con alcuni ufficiali, il giorno otto novembre 1917 entrò a Lozzo. Incontro agli invasori andarono alcuni rappresentanti del paese, il primo approccio avvenne vicino alla chiesetta della Madonna di Loreto e fu tra persone civili e ragionevoli. Gli invasori promisero che avrebbero rispettato la popolazione a patto che questa fosse pacifica e obbediente. Quando il nemico fece il suo ingresso in paese, verso le ore undici, i registri e gli incartamenti più importanti erano stati messi in salvo in un sotterraneo del campanile e tutti gli abitanti avevano esposto sui balconi drappi e lenzuoli bianchi per far capire alle truppe che non avrebbero incontrato ostilità.”
(“Il Forte di Col Vidal”- W. Musizza, G. De Donà, D. Frescura).
Questa fase della storia di Lozzo e del Cadore viene descritta dal sindaco Gio. Batta Zanella in un documento intitolato “Memoriale tenuto per cura del Sindaco dei fatti principali succeduti durante l’invasione austriaca 1917 – 1918”, fatto stampare dallo stesso Sindaco dalle Industrie Grafiche Italiane di Belluno nel 1923.
memoriale sindaco(…) 8 novembre. – La mattina giunsero in paese dalla parte di Pian dei Buoi soldati austriaci isolati, poi vedendo che da Lorenzago gli austriaci avevano già tirato due o tre colpi di cannone presso il Rio in basso del paese, temendo che continuassero, ordinai a molti padroni di casa, lungo la strada provinciale, di stendere delle lenzuola bianche, onde il nemico comprendesse che la popolazione si sottometteva senza resistenza. (Senza soldati e senz’armi, era ormai inutile il contrastare). Più tardi, io, il Rev. Parroco, l’assessore Eugenio Da Prà e il sig. Francesco Chiamulera andammo verso il Pontenuovo; dall’altra parte erano un ufficiale e una ventina di soldati austriaci (il ponte era stato fatto saltare la sera antecedente dalle truppe italiane nel ritirarsi). Col fazzoletto bianco abbiamo fatto un segno di saluto che l’ufficiale ci contraccambiò con la sciabola, poi egli ci fece dei segnali per chiederci ove potesse coi suoi soldati passare il Piave e venire a Lozzo. (…)
Ai lozzesi fu richiesto di gridare “Viva Carlo I” e nei giorni successivi essi videro passare le truppe austriache, composte non solo da austriaci, ma anche da cechi, galiziani, polacchi, ungheresi e bosniaci.
Alcuni di questi soldati erano corretti e gentili, altri erano prepotenti, tanto da entrare nelle case senza permesso, a volte, portando con se anche i cavalli. Cominciò anche per Lozzo il dramma delle requisizioni, infatti, appena arrivati, gli austriaci portarono via 30 bovini grossi, in cambio dei quali vennero rilasciati dei buoni che, in molti casi, anziché dare ricevuta dell’animale, contenevano offese e insulti. Questo saccheggio continuò per tutto l’anno e ridusse la popolazione locale alla fame. Inoltre molti cadorini rimasero vittime delle bombe disseminate sulla strada e nei campi dai soldati italiani in ritirata.
Il 28 marzo 1918, a causa della negligenza di un soldato austriaco, scoppiò una polveriera militare che si trovava nella borgata di Giouda che causò la distruzione di quattro case e molte lesioni ai tetti, alle porte e alle finestre, e mandò in frantumi quasi tutti i vetri delle abitazioni. Poiché non era possibile reperire vetri nuovi, si chiusero le finestre con coperte e teli.
Per poter ripristinare strade e ponti gli austriaci requisirono molto legname, prelevandolo dalle segherie e tagliando interi boschi. A maggio, anche a Lozzo come negli altri comuni, vennero requisite le campane per farle fondere e ricavarne metallo prezioso.
Con il passare dei mesi cresceva la fame e la miseria. Si mangiava polenta e “pestarei” di farina d’avena mista a crusca. Il pane, diventato rarissimo, si faceva con la farina di frumento unita ad altri cereali e perfino con un macinato fatto con i baccelli secchi dei fagioli e con i torsoli di granturco. Molta gente arrivava a cibarsi anche di ortiche e di erba comune.
Anche le truppe austriache pativano la fame e spesso si vedevano soldati frugare nei letamai in cerca di bucce di patate e di altri rifiuti commestibili.
Verso la fine dell’estate cominciarono le requisizioni del rame, della lana, dei materassi, degli abiti da uomo e da donna.
Ai primi di ottobre si scatenò in tutto il Cadore l’epidemia di influenza spagnola che causava febbre violenta accompagnata da broncopolmonite, pleurite o tifo e in molti casi portava alla morte; le cause della violenza del male erano la denutrizione generale, le fatiche e le privazioni.
All’inizio dell’autunno erano rimasti ai legittimi proprietari 188 capi di bestiame, quindi la popolazione cadde nella disperazione quando gli austriaci diedero l’ordine di requisire 100 vacche e numerose capre, pecore e galline. Grazie al propagarsi di voci attendibili sul crollo della Bulgaria e sulla condizione dell’Austria, ormai ridotta allo stremo, la gente poté cominciare a sperare che la fine della guerra fosse vicina.
Si cominciò ad assistere alla ritirata di lunghe colonne di truppe nemiche in condizioni miserabili e finalmente, il 5 novembre 1918, non appena l’ultimo soldato austriaco uscì dall’abitato, comparvero bandiere tricolori alle finestre e la gente festante si riversò nelle strade per aspettare i primi soldati italiani.
Così finiva l’anno più lungo e terribile della storia cadorina e di Lozzo.

Anna

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(Fonti utilizzate: Testimonianze orali di persone appartenenti alla generazione successiva alla guerra; Archivio comunale di Lozzo di Cadore. Bibliografia: “Il Forte di Col Vidal”- W.Musizza, G. De Donà, D. Frescura. Ed. Ribs, 1990; “Oronimi Bellunesi, Centro Cadore: Pieve, Domegge, Lozzo”, introduzione di A. Cason; “Memoriale tenuto per cura del Sindaco dei fatti principali succeduti durante l’invasione austriaca 1917 – 1918”, Sindaco Gio. Batta Zanella. Netgrafia: “Storia e futuro” – “Bambini e adolescenti nella Grande Guerra” – L. Gorgolini)